Nei meandri dei miei scaffali aspettava paziente di essere scelto questo libro che mio papà mi prestò parecchio tempo fa.
Avevo quasi dimenticato di averlo e mi è capitato improvvisamente sotto gli occhi. Mi sono decisa: l’ho letto in un giorno.
Sottovalutato per troppo tempo, posso dire mi sia rimasto nel cuore anche se, a tratti, mette su tristezza e nostalgia.
Ecco una nuova recensione: Il volo della martora di Mauro Corona.
Informazioni editoriali
Titolo: Il volo della martora
Autore: Mauro Corona
Pagine: 208
Prezzo cartaceo: 13 euro circa (Vivalda Editore)
Prezzo ebook: 7 euro circa
Trama
È il 9 ottobre del 1963.
Alle 22.39, 270 milioni di metri cubi di terra si staccano dal Monte Toc e precipitano nel lago artificiale formato dalla diga del Vajont; si solleva così un’onda che spazza via tutta la valle, travolgendo boschi, case, animali e vite umane. Ci sono più di 2000 vittime: una catastrofe senza precedenti.
Mauro Corona, scrittore, scultore e alpinista italiano, è all’epoca poco più di un bimbo e fa rivivere in queste pagine quel mondo scomparso. Lo racchiude in 26 racconti che raffigurano vicende di donne e uomini semplici ma anche di animali, boschi, montagne, rocce e alberi.
Mauro, a differenza di molti, non abbandona la sua valle e anzi rimane appigliato ad essa e ai ricordi.
Cosa ne penso
I personaggi narrati nei racconti de Il volo della martora sono parenti, amici o semplici conoscenti dell’autore che vengono descritti a volte con sottile ironia, a volte con cruda verità. Quella descritta è un’umanità grezza e “imbarbarita” dal doversi mostrare forte e sapersi procurare di che vivere tutti i giorni, ma allo stesso tempo più serena e in grado di apprezzare meglio i doni della vita e della natura.
Si respira sempre un’aura di bontà e semplicità contadina che riscalda il cuore e a tratti commuove. Quello che è certo è che emerge in ogni pagina il profondo rispetto per la montagna intesa nella sua integrità, dal sasso, all’albero, al povero montanaro costretto a vivere in un paese scomodo.
Mi ha però disturbata il fatto che, nei racconti che trattano di animali abitanti di quelle montagne, si parli di caccia con un po’ troppa leggerezza. So che l’autore prende ormai le distanze da questa pratica e che all’epoca la caccia fosse praticata per sostentamento, ma la descrizione dei metodi di cattura e di uccisione delle varie bestie è a tratti cruenta.
Corona racconta la perdita, in seguito alla strage della diga, di una realtà fatta da anni di vita legati alla terra, alle tradizioni e alla cultura di quelle valli: gli inverni freddi, le fate, i pascoli e le interminabili bevute di cui parla l’autore sono echi di una realtà lontana spazzata via in pochi decenni dall’arrogante forza della modernità.
Questi racconti ci ricordano che abbiamo una grande responsabilità nei confronti della Terra e del nostro prossimo, aspetto che spesso dimentichiamo a favore di frivoli ideali.
Consiglio il libro agli amanti della vita semplice ma dura, a chi si abbandona ai ricordi e a chi non può fare a meno di respirare l’aria delle montagne.
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Alla prossima!