Credo che visitare la Certosa di San Martino a Napoli sia d’obbligo quando ci si trova nel capoluogo campano per la prima volta.
Questa è stata per me la seconda visita al suo interno. Sono però rimasta estasiata dalla vista che quel posto regala sul piazzale antistante più e più volte, e dopo anni che la vivo non mi stanco mai.
In queste righe cercherò di raccontarvi a modo l’atmosfera che si vive attraversando i suoi ambienti, ascoltando la sua storia che quasi si tocca, ammirando lo spettacolo che si presenta davanti agli occhi quando vi affacciate alle sue finestre.
Una divertente salita in funicolare
La Certosa di San Martino domina Napoli dall’alto. Sarebbe suggestivo raggiungerla a piedi, ma non c’è scelta peggiore di questa se ci si trova in città una mattina di fine giugno, vista l’umidità che si respira!
Matilde, Sofia, Vanessa e io scegliamo di salire fin lassù sfruttando la simpatica funicolare Centrale presa al volo in via Toledo. Libera non è con noi ma le mandiamo fotografie a raffica.
Scendiamo alla fermata Piazza Fuga e in men che non si dica siamo circondate da palazzi signorili e bei viali pedonali. Da lì ci separano dal belvedere circa 10 minuti di camminata.
Giunte alla meta, scorgiamo Alessandra: ci aspetta al riparo dal sole cocente, in un angolo della piazza. La saluto sbracciandomi da lontano e la raggiungo, lasciando che le mie compagne di avventura ammirino la meraviglia che regala la vista.
Un po’ di storia
Prima di addentrarci nella Certosa, vi regalo qualche pillola sulla sua storia.
Dobbiamo andare indietro nel tempo fino al 1084, quando San Bruno (Brunone per gli amici) fu incaricato da Sant’Ugo di Grenoble di costruire il monastero principale dell’ordine dei Certosini, appena fondato, sul massiccio della Chartreuse, fra le Alpi francesi.
Nel 1325, su ordine di Carlo D’Angiò, sorse la Certosa (dal latino Carthusia) sul colle di Sant’Erasmo a Napoli per ospitare il suddetto ordine in pieno sviluppo.
Ma perchè è detta proprio di San Martino?
E’ probabile che sul colle sorgesse, secoli prima, una cappella dedicata proprio all’omonimo santo!
Innumerevoli architetti si diedero un gran da fare tra il ‘500 e l’800 per apportare modifiche alla struttura: Il merito maggiore si deve a Cosimo Fanzago che conferì alla Certosa l’aspetto barocco attuale.
La vita dei Certosini
L’enorme complesso è strutturato in modo tale che, fin dai tempi antichi, i monaci certosini conciliassero vita attiva e contemplativa.
Diverse ore del giorno erano dedicate alla coltivazione degli ortaggi, piuttosto che alla cucina, al giardinaggio e alle faccende domestiche.
In determinati momenti il ritiro in preghiera era invece priorità assoluta. Pensate: i monaci non potevano conversare fra loro poiché vigeva la severa regola del silenzio. Le “chiacchiere” erano consentite solo durante le celebrazioni liturgiche!
La chiesa
Entriamo nel complesso. La chiesa è la prima struttura che visitiamo.
Ci troviamo sotto al suo ampio e alto pronao. Alessandra inizia a raccontarci la storia di questo posto fuori dal mondo. Mi guardo attorno ed osservo la meraviglia.
Da un lato un’alta cancellata ci separa dal cortile antistante, dall’altro Papa Pio V osserva fiero davanti a sé, e sopra di lui si legge CART (da Carthusia) sullo stemma .
Varchiamo insieme il portale della chiesa e davanti a noi lo stile barocco sfoggia tutta la sua splendida opulenza. Ringrazio Cosimo Fanzago per aver dato ai posteri la possibilità di ammirare tutto ciò!
L’interno è un tripudio di marmi, pietre preziose, intarsi ed affreschi: questi ultimi sono attribuiti in maggioranza a Giovanni Lanfranco.
Dovunque si punti lo sguardo, ammirando l’unica navata o le cappelle laterali, si rimane a bocca aperta.
I chiostri
Procediamo verso il chiostro a cui le donne non avevano accesso. Al centro un enorme pozzo: e io guardo giù!
Giungiamo nel chiostro grande.
Sotto al porticato si articolano, lungo le pareti, piccole porticine attraverso cui i monaci trovavano rifugio nella propria cella.
Il sole picchia forte e il riverbero della luce sul marmo bianco del chiostro crea un’atmosfera quasi surreale: per un attimo mi sento catapultata a quasi 500 anni fa e penso a come fosse vivere qui.
Teschi, un piccolo cimitero dei monaci circondato da una possente balaustra, un orologio che penso ticchettare e segnare l’ora della preghiera. Un grosso pozzo cela una porta attraverso cui si accede ai sotterranei. Immagino allora una vita attiva e frenetica, mentre adesso è tutto immobile e silenzioso.
Stanze dentro le stanze
E dal chiostro grande si susseguono una stanza dentro l’altra.
Il parlatorio, la biblioteca, pareti ricoperte di legno il cui profumo inebria le narici, soffitti meravigliosamente affrescati.
Ci imbattiamo addirittura in un simpatico calendario delle attività assegnate ai tempi ai singoli monaci!
Ci inoltriamo nell’appartamento del priore: mica scherzava! La vista corre a 180 gradi su Napoli e il suo golfo. In lontananza Capri riposa placida sul mare piatto.
Chi di voi non desidererebbe un panorama del genere fuori dalla finestra?
I presepi
La Certosa di San Martino ospita una importante collezione di arte presepiale napoletana.
Non mancano pastori, singoli personaggi del presepe, tante natività grandi e minuscole: subito torniamo bambine.
Alessandra ci fa notare un particolare indicativo: in molti presepi settecenteschi custoditi nelle bacheche, sono rappresentati anche personaggi affetti da patologie o portatori di disabilità. Il realismo è assoluto.
Ci imbattiamo addirittura nel più piccolo presepe che abbia mai visto: è realizzato all’interno di un guscio d’uovo!
Ora non scherza: il presepe Cuciniello si innalza nella penombra della stanza in cui è allestito e sembra brillare di luce propria. E’ appunto un dono di Michele Cuciniello, collezionista d’arte presepiale vissuto nell’800.
La vita del presepe è divisa in tre momenti: quello centrale rappresenta la nascita di Gesù nel tempio in procinto di crollare (vittoria del cristianesimo sul paganesimo). Ai lati sono invece riprodotti la città di Napoli e la presentazione di Gesù ai Magi.
Discesa lungo le scale del Petraio
Basta, di questo posto non vi racconto più nulla perchè non voglio svelarne la magia fino in fondo.
Andateci, se potete, e fatevi guidare da chi sa raccontare la sua storia a dovere.
Alessandra potrebbe fare al caso vostro e, se volete leggere di lei, l’ho raccontata nell’articolo qui sotto!
Scendiamo le scale del Petraio.
E’ questa la Napoli che amo: scorci di mare, panni stesi al sole freschi di bucato, vociare da dentro le case. E’ l’ora di pranzo di una domenica estiva e vi lascio immaginare anche i profumi.
Dopo ben 503 gradini i Quartieri Spagnoli ci riaccolgono nella loro confusione ormai familiare.
Avete trovato l’articolo interessante? Se vi va condividetelo sui social, lasciate un commento ed iniziate a seguirmi.
Alla prossima!